giovedì 21 settembre 2017

La fine II


<< Buona notte signora Spampinato >> dissi mettendo la testa fuori dalla porta di casa.
Non rispose; emise una leggera tosse, forse provocata dallo stupore di essere stata scoperta. 
Avrei pensato a lei la mattina seguente, al momento volevo dormire. 
Il campanello aveva suonato, adesso potevo dormire indisturbata.
Presi il cuscino da sopra il divano e mi buttai nel mio letto, estasiata dalla sua comodità.

 Mi voltai dal lato opposto e, di nuovo dall'altro, senza essere cosciente - stavo sognando. 
Un bellissimo uomo era entrato nel mio salotto, in compagnia di un piccolo cane, un bassotto marrone. Si avvicinava a me, fissandomi negli occhi, sorridendomi, come se mi conoscesse da tempo. Tutto d'un tratto, il cane diventò enorme, gigante, e lui incapace di gestirlo, lo lasciò libero di avvicinarsi a me. 
Mi morse, mi fece un male tale da svegliarmi, sudata.
Urlai di spavento, spalancando gli occhi. 
 Avevo di fronte il televisore, vicino a me il cellulare, e a destra la finestra dalla quale entrava uno spiraglio di luce lunare. 
Erano le 4 del mattino. 
Mi alzai per prendere un bicchiere d'acqua, la bocca era asciutta.

<< Che sogno assurdo >> dissi toccandomi il viso con la mano destra.

 Piano, quasi cauto, silenzioso e denso, uno scuro fumo entrò nel mio appartamento dal lato del salotto. 
Mi prese il panico. 
Chiamai i pompieri, nel frattempo presi un maglione di lana dalla camera da letto.

<< C'è del fumo! Venite subito >> dissi velocemente.

 Mi informarono di essere stati già avvertiti dal mio vicino di casa. 
L'incendio proveniva dal secondo piano del palazzo e subito mi venne in mente l'appartamento sopra il mio, quello in cui abita la vecchia dall'indice dispettoso. 
 Prima di varcare la soglia di casa, afferrai la borsa da sopra il mobiletto dell'ingresso. 
Feci le scale a fatica, il fumo era aumentato senza dare tanto preavviso. 
Mi coprii la faccia con un fazzoletto.
Una rampa di scale mi divideva dal raggiungere la strada e l'ossigeno.

 Non ricordo bene come riuscii ad arrivarci, ma mi ritrovai fuori, a guardare il palazzo bruciare senza sosta, con indosso una coperta, offerta gentilmente dal vigile del fuoco e le mie pantofole pelose - acquistate mesi prima nel negozio all'angolo.
 Di fronte a me, un'immagine che non avrei mai voluto vedere; lì dentro c'era tutto il mio mondo, quello che era rimasto intatto, fino ad allora. 


Dopo la fine della storia con Stefano, le corna, il licenziamento, la casa in fiamme: 
Cosa poteva andare ancora storto? 







mercoledì 13 settembre 2017

La fine parte I


Nei giorni seguenti mi dimenticai di cosa fosse la serenità, fisica e mentale. 
Tra il mio malessere per lo status di cornuta e la mia assenza da lavoro per le stesse motivazione, si aggiunsero le fastidiose interruzioni di sonno. 
Di notte, dopo che stremata chiudevo gli occhi, qualcuno suonava il campanello della porta. 

 La prima sera, credetti di averlo sognato e ripresi a dormire, per svegliarmi alle 5 del mattino, infastidita da incubi e pensieri ricorrenti. 
Loro due che si baciavano, si avvinghiavano, io che li beccavo; insomma, il solito!

 La notte successiva, ricapitò, ma dopo una giornata stressante, in cui dovetti andare a lavoro per presentare le mie dimissioni, mi riaddormentai facendo finta di nulla. 
Purtroppo dovetti licenziarmi.
Non volevo più lavorare con lei ed essendo il mio capo, ero certa che mi avrebbe sbattuta fuori in breve tempo. 
Anticipai le sue mosse, a malincuore.
Amavo il mio lavoro, amavo il mio fidanzato, ma più di tutto amo la mia Dignità.

 Alla terza sera rimasi immobile. Dopo alcuni secondi dal suono del campanello, mi alzai impaurita per andare a vedere chi fosse. 
Era impossibile aver fatto lo stesso sogno per tre volte di fila - dovevo vederci chiaro. 
Aprii la porta, non trovando nessuno, se non uno scenario spettrale, per chi vive sola in casa dopo aver scoperto di essere stata tradita. 
Una buia e silenziosa scala condominiale, era quello che furono costretti a vedere i miei occhi, dopo l'interruzione infelice del mio sonno traballante. 
Chiunque fosse era furbo, suonava ad orari differenti: delle volte alle 2 ed altre alle 3 o 4, dando alla situazione connotati di imprevedibilità. 

 Alla quarta notte, non ero più disposta a ricevere soprusi senza incastrarlo. 
Mi convinsi di dormire scomoda sul divano vicino l'ingresso. 
Sarei scattata in piedi, come un soldato al comando "sull'attenti"!  
 Stava succedendo proprio in quei giorni, che ero riuscita a riprendere una certa regolarità con il sonno, riposando 6 ore a notte. Mi addormentavo verso mezzanotte davanti la tv, sorseggiando una tisana calmante. 
Tutto questo però non era sufficiente, sentivo il bisogno di dormire 8 ore, senza che fossi disturbata da alcun rumore, tanto meno dall'acuto di un campanello.
I miei occhi era infossati, rossi, pigri e soprattutto dolenti, come i costanti mal di testa al mattino. 
 Quella notte, ero sveglia. Sentii dei passi dietro la parete, rimasi sdraiata sul divano spalancando occhi ed orecchie, poi mi alzai andando verso la porta.

Ti ho scoperto!

Ruotai con delicatezza il coperchio dello spioncino e con mio grande stupore, vidi la vicina di casa pronta a suonare alla mia porta, con 
un sorriso divertito stampato sul viso.
La lasciai fare. 
Volevo vedere se fosse lei o una coincidenza, ma non ebbi più dubbi, quando scappò verso le scale - corse come una bambina che ha paura di essere scoperta mentre gioca a nascondino. 
Spalancai la porta: sapevo dove si era nascosta e inoltre riuscivo a intravedere un pezzo della sua vestaglia fiorata da dietro le scale. 

Poco sveglia, per scegliere quel nascondiglio.

Stavo "giocando" con un'anziana, che voleva farmi spaventare per vendicarsi delle lenzuola sbattute contro la sua porta-finestra.

Ilarità notturna e gesti vendicativi. 


martedì 5 settembre 2017

La fine


Le sue cose erano state da me, gentilmente adagiate a terra. 
La camera da letto per tutto il suo perimetro era diventata una zona di guerra con spargimento di indumenti. 
Una o due cravatte erano brandelli di seta, le camicie avevano evidenti segni di stropicciamento e i jeans, sui quali mi divertivo a camminare a piedi scalzi, divennero un comodo tappeto da camera.

Serviti pure, prenditi le tue cose!

 Quella notte, quando lui andò via con lei – che romantici – rimasi preda dei miei demoni e invasa da tanto dolore gli diedi sfogo.
Iniziai ad aprire l’armadio e scaraventare tutto sul pavimento, come fosse immondizia prodotta da porci. Dopo essere scivolata sopra quell'ammasso di inutili vestiti, vidi la forbice sul comodino e afferrandola me la presi con chi, mi aveva fatta cadere in terra, loro, le cravatte.

Le indossa per andare a lavoro.

Per la realizzazione del disegno non è stata maltrattata nessuna cravatta.

Nel marasma riuscì a recuperarne solo due e, con tutta la creatività del caso, mi diedi al bricolage stoffa in seta.
Che momento terapeutico, certo un tantino immorale, ma era difficile riuscire a togliere la loro immagina da dentro la mia testa - immagine che era altrettanto disonesta.
 Tolsi dal letto le lenzuola, sopra le quali ci fu l’incontro infedele e li buttai dal balcone. 
Col senno di poi sbagliai, non valutando il vento imperterrito di quei giorni, che le sbalzò al piano di sotto. Dovetti discutere con una vecchia megera rimasta zitella - forse non per scelta sua, valutandone il carattere. 
Non le importava di vedermi, afflitta, grondante di lacrime e in evidente stato di malessere generico. Voleva farmela pagare per essersi spaventata dallo sbattere delle lenzuola contro la sua portafinestra e me lo promise.

 Nel tardo pomeriggio quando lui fu dinanzi a me, ebbi modo di chiede il perché.
Non ci sono domande da fare in questi casi, le cose succedono quando non si ha rispetto per l’altra persona, quando non la si ama, quindi, perché feci una domanda tanto stupida?
Semplicemente, tra i due in quel momento, ero la stupida! E lo ero a tal punto da credere, che tornava per chiedermi scusa.
La mia mancanza di sonno, di senno e di tutto quello che possa rendere una persona fuori di sé, mi portarono a credere che lo stesse facendo. 
Quando in realtà, le scuse non furono mai pronunciate.
Non era lì per farsi perdonare, voleva solo riprendere le sue cose, mostrando atteggiamenti pacati, falsi sensi di colpa e qualche frase di circostanza, giusto per tenermi a bada.

 Non disse una sola parola, alla vista del casino che avevo combinato in camera da letto. Fece una palla di vestiti e la introdusse con il massimo silenzio dentro la valigia. Avrebbe fatto di tutto per farmi stare buona, pure, sopperire la sua collera di fronte alle due cravatte ridotte in brandelli.
Preso dalle sue emozioni - non manifestate in maniera diretta - andò via non salutandomi.
Mi guardò, con indifferenza, freddezza, come una cosa inutile lasciata, anzi dimenticata, in un angolo remoto della casa, ma con quel minimo ricordo di un sentimento tiepido e malinconico che gli si leggeva negli occhi.

Era finita



domenica 3 settembre 2017

Semplicemente NO!

Ho voluto utilizzare la più semplice delle negazioni, il NO.
NO; lo stupro non è mai un piacere, nemmeno dopo che è avvenuta la penetrazione.
NO; la violenza in nessun caso è ammissibile, giustificata, giusta.
NO; ai mass media che strumentalizzano suddette informazioni e che danno visibilità a chi dovrebbe tacere.
Semplicemente NO!


martedì 22 agosto 2017

Il girasole parte III


Presi il gin e la lemon, per creare un miscuglio acidulo da mandare giù, in uno stomaco vuoto. Passavo con indifferenza tra gli altri scaffali pieni di cibo spazzatura, ma neppure quello mi invogliava a comprare qualcosa di solido, da addentare. Avrei creduto più possibile afferrare un sacchetto di patatine, un barattolo di Nutella, una confezione di gelati, pure scadenti, piuttosto che acquistare da bere, se solo avessi avuto i crampi allo stomaco per una fame fisiologica. 
 Il mio unico obiettivo era oscurare la mente, cadere in un sonno profondo e dal suo risveglio partire da quel punto tralasciando il resto.
 Mi diedi malata a lavoro. 
In fin dei conti era vero, stavo male. Avevo fitte al cuore, un mal di testa da poche ore di sonno ed ero pronta a un mal di pancia da sbronza.

Il dolore fisico avrebbe fatto diminuire quello sentimentale?


Crederlo possibile mi aveva portato a trascinarmi dentro un posto pubblico, con la testa bassa coperta dal cappuccio della felpa.
 La linea della bocca era in direzione dei miei piedi, gli occhi gonfi erano stati nascosti con accuratezza, ancor prima di scendere le scale del palazzo.
Ero in modalità “chiusa alle comunicazioni con il mondo” e la cassiera avrebbe dovuto capirlo pronunciando le sole parole di rito per farmi pagare.


Avrei gradito solo: sorriso di circostanza, saluti educati e lettura del conto/resto.
“Vuole una busta non era contemplato, nemmeno detto con gentilezza, perché in tutti i casi il mio No sarebbe stato scortese.
 La ragazza che passò le bottiglie sul lettore ottico, mi guardò un secondo e con fare veloce mi fece pagare e infine mi salutò.
<< Buona giornata >> disse, e mi sfiorò la mano dando il resto, come se avesse voluto aggiungere: 
“Io ti capisco, ci sono passata, sii forte, sono con te”.

Era una mia sensazione o avevo bisogno di sostegno, vicinanza e comprensione?

 Seduta con le ginocchia piegate e la testa sopra di esse, fissavo quel liquido trasparente dentro il suo involucro di vetro. Mi venne in mente quella volta che annoiati, decidemmo di consumare i pochi alcolici che avevamo in casa, ottenendo un intruglio vomitevole per aver mischiato troppo, in un unico bicchiere.
Era stato lui.
Da annotare: Stefano non era capace di fare i cocktail.
Presi l'agenda e iniziai a segnare i suoi “non sa fare” o “non ha”. 
Sarebbe saltata fuori una sorta di grande "minestra" stracolma di parole, che avrebbe fatto scomparire tutto quello che di buono ricordavo di lui.
 Afferrai il bicchiere che usavamo più spesso e pure quel maledetto, alla sua vista, mi ricordò di quando…

Perché non ci fanno una sorta di lobotomia, parziale, momentanea, il tempo che il cuore guarisca per poi tornare a ricordare tutto con indifferenza?
Sarebbe semplice, sarebbe fantastico, ma credo che il male dei ricordi faccia parte del processo di cancellazione dell’ex, o no?

Era giunto il momento di piantarla di pormi domande e di bere, ma prima che le mie labbra si poggiarono sul bicchiere di vetro, sentii la chiave della porta d’ingresso girare nella serratura. Corsi e rimasi immobilizzata a guardare Stefano che entrava nell'appartamento con una grande vuota valigia.



sabato 12 agosto 2017

Il girasole parte II


La mattina seguente, ho creduto, anzi, ho sperato che tutto fosse un incubo ben riuscito, forgiato dalla mia mente.
Se fosse stato un sogno, mi sarei svegliata accanto a Stefano! 
 Mi sollevai dal letto con il senso di vomito, come se fossi affogata dentro una vasca di vodka liscia. Per sicurezza, per comprendere di avere gli occhi aperti, che quello che era successo meno di 24h prima fosse vero, mi diedi un forte pizzicotto su di un braccio.
Non fu tanto il rossore sulla pelle, ma il dolore che arrivò al cervello che mi portò a dire:
No! Non ho sognato, è un incubo reale.




     Poi fui sopraffatta da un loop infinito: 
piansi, tanto, 
quasi senza smettere più, 
 risi il doppio, 
piansi e 
di nuovo risi.




All'inizio ad ogni lacrima mi coprivo il viso, ad ogni sorriso mettevo la mano sulla bocca, ma poi mi ricordai che in casa ero sola e senza freni mi trasformai in dottoressa lacrime J. e miss sorriso H.
Che brutta fine!
Mi lasciai andare a dolori e sofferenza trascinandomi dal letto al divano, attività che di certo poteva essere definita un ottimo progetto per uno stato depressivo.
 Trovavo un certo benessere nel crogiolarmi nel mio malessere.
Lasciatemi qui!
 Mi abbracciai al cuscinone che aveva il suo profumo, fingendo che lui fosse tra le mie braccia; ero come Gas Gas che stringeva le perle verdi della collana di Genoveffa, credendo che fossero piselli.
Oh piselli!
L'odiavo, però a tratti l'amavo ancora e quel fastidioso miscuglio di sentimenti, mi faceva andare di matto.
 Cercai di evitare di pensare a quello che era successo fino a quel momento e l'unica possibile soluzione per distaccarmi dai pensieri era di affogarli, di portarli nel fondo di un bicchiere riempito più di una volta.
Misi una tuta e gli occhi da sole; alle 19.00 ero dentro il mini-market sotto casa.
Se qualcuno mi avesse visto, riconosciuta, avrei solo fatto finta di non sentire, non vedere, ero un'altra, una fuori di me.